LA CULTURA DELLA SICUREZZA A CASA NOSTRA di Domenico Santoro

(tratto dalla rivista “PdE. Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente”. Direttore responsabile: Mauro Zamberlan - Direttore scientifico: Antonio Zuliani).

Nell’ultimo decennio, sempre più frequentemente la gestione della sicurezza è stata legata al concetto di cultura della sicurezza. Cultura della sicurezza come obiettivo, cultura della sicurezza come indicatore, come fattore descrittivo di un contesto organizzativo in relazione a un andamento infortunistico, a un comportamento prerogativa di un dato gruppo. Questa tendenza è in qualche modo rappresentativa della naturale evoluzione storica del safety management che sempre più ricerca le proprie prospettive di lavoro e miglioramento nell'interiorizzazione del concetto di sicurezza come valore condiviso da parte di tutti coloro che costituiscono un’organizzazione e i diversi team sono tra loro interdipendenti [1].

Così oggi è relativamente semplice trovare numerose definizioni di cultura della sicurezza e, allo stesso tempo, relativamente complesso trovare modelli e metodi di lavoro che il safety manager possa adattare in modo efficace al proprio contesto operativo [2], [4].

“Non possiamo più continuare soltanto a gestire l’emergenza: dobbiamo anche costruire un percorso che ci permetta di metabolizzare il nuovo scenario creato dal Covid. Cambierà il ruolo dello steward ma bisogna riflettere anche su come torneranno i tifosi allo stadio”. Sono alcuni dei temi emersi dall’incontro online organizzato giovedì dall’A.N.DE.S, l’Associazione Nazionale Delegati alla Sicurezza che in Italia riunisce oltre trentamila tra steward e Dge (Delegato alla Gestione dell’Evento), dal titolo “Nella ripresa le norme dimenticate”.  

“Anche in condizioni complicate come queste bisogna considerare lo stadio come momento sociale. Solo con questa logica si riuscirà a pianificare un sistema di sicurezza più efficace. Come proseguirà il campionato? Credo che si continuerà con spettatori in percentuale”. E’ il pensiero di Ferruccio Taroni, presidente dell’A.N.DE.S, l’associazione nazionale delegati alla sicurezza che mette insieme in tutta Italia oltre trentamila tra steward e Dge (Delegati alla Gestione Evento). Taroni fa il punto della situazione quando i campionati di calcio stanno per ripartire, dopo la pausa per le Nazionali. Ripartenza ancora condizionata dalle norme anticontagio.

“Con le nuove misure intraprese dal governo l’impiego di steward si è ridotto del 90 per cento, visto che servirà solo il 10 per cento del personale. Di contrasto aumenta il lavoro dei Dge (Delegato alla Gestione Evento, ndr) che con meno forze lavoro deve garantire maggiori protocolli e controlli. Con i mille spettatori l’impiego arrivava a malapena al 30 per cento degli steward. In più, in questo periodo di pandemia, notiamo fortemente il rischio che la formazione di queste figure professionali possa essere portata avanti in maniera poco efficace, magari approfittando proprio della pandemia”. Così Ferruccio Taroni, presidente dell’A.N.DE.S, l’Associazione Nazionale Delegati alla Sicurezza, fa il punto sui numeri che riguardano il livello occupazionale dello stewarding in Italia, dopo la reintroduzione delle porte chiuse negli stadi.

di Antonio Zuliani e Francesco Davalli *

La necessità di riaprire progressivamente i luoghi di accesso al pubblico mette in luce un tema fondamentale: i gruppi di persone non sono tutti uguali. Si pensi alla necessaria distinzione da tenere in considerazione, per esempio nel mondo del calcio, tra i gruppi di tifo organizzato e i tifosi non organizzati: due soggetti che durante l’evento partita assumono comportamenti completamenti diversi e rispondono a logiche altrettanto distanti tra loro. Entrambe le figure però devono necessariamente essere raggiunte dalla comunicazione indispensabile a garantire, insieme evidentemente ad altri fattori, la sicurezza durante l’evento sportivo. Il fatto che i comportamenti umani siano oramai preventivabili (Zuliani, 2017) evidenzia l’importanza di predisporre forme organizzative e comunicative pensate per ogni specifica situazione. Pensare che sia sufficiente una comunicazione chiara e razionale, senza tener conto della forza degli opinion leader e delle attese e dei bisogni dello stesso gruppo di appartenenza, è un equivoco ricorrente. Questo vale per stadi, discoteche e ogni altro luogo di aggregazione: ritenere che si possa predisporre un’unica forma organizzativa e comunicativa è un errore fatale.

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